
“Le fate del Travancore” (Kerala, India) – Intervista all’autore Nicola Tenani
Nicola Tenani, residente a Bologna, ma col cuore in Kerala, è l’autore di “Le fate del Travancore. Tre magiche storie di donne dell’India”, un libro che parla di un’India al femminile, più legata al sottile ‘shaktismo’, all’energia creatrice, un’India che esiste e meriterebbe più attenzione.
“Sono stanco di leggere sempre, solo e comunque di violenze e abusi, è una cronaca becera se non analizza invece altri aspetti, questo vale in tutto il mondo, ovviamente. Il mondo può cambiare se muta anche il punto di vista con il quale lo osserviamo”, Nicola Tenani.
Qualcosa su di te
La mia editoria è oggi quella culturale, inerente al viaggio, ma vista come resoconto narrativo e antropologico; l’India, il Kerala, sono la mia ispirazione, le tematiche legate alla donna e alla società, cultura, spiritualità, natura, sono le mie fonti d’ispirazione.
Mia moglie è danzatrice di Bharatanatyam, danza classica del sud indiano, assieme alla fotografia abbiamo coltivato queste ispirazioni, tra cui lo yoga e la conoscenza delle realtà che abbiamo vissuto ma in maniera molto spontanea. Ora cerchiamo la giusta dimensione della vita, dopo i lunghi mesi keraliti stiamo metabolizzando una nuova concezione di vita, slegata dai canoni e dalle imposizioni occidentali, in quelle realtà cercheremo in questi mesi la nostra realizzazione.
Un vero e proprio progetto famiglia coinvolgendo anche nostra figlia di sei anni, come noi in attesa del ritorno in Kerala; non sogniamo lussi e sfarzi, successi imprenditoriali e affermazioni economiche ma solamente la giusta dimensione del vivere, il tempo di esistere, scrivendo, danzando, fotografando, cercando di stare accanto a chi assieme noi possa credere in un progetto così affascinante e complicato.
Quando sei andato per la prima volta in India e quale è stato il primo impatto?
Arriviamo per la prima volta in Kerala nel 2013, per la voglia di conoscere l’India attraverso la visita al ragazzino che adottammo a distanza grazie ad un’associazione bolognese; qualche giorno assieme, non di più, per poi staccarci e visitare alcune città del Kerala. Il primo impatto è stato d’amore immediato; ricordo i profumi i colori già uscendo dall’aeroporto internazionale di Trivandrum, andando verso le zone collinari, i villaggi dove l’associazione aveva sede. Arrivammo nel primo pomeriggio, ma già dopo qualche ora eravamo a zonzo per il villaggio immersi nei suoni della puja del tempio dedicato al dio Murugan, finendo quasi immediatamente in casa di un contadino locale, mangiando accanto all’anziana madre, con naturalezza, comunicando a gesti e sguardi; in questo lo studio di danza Bharatanatyam di mia moglie aiuta, l’espressività (abhinaya) è fondamentale.
Così fu per quei ventuno giorni … Al ritorno maturammo l’esigenza di voler tornare per un lungo periodo, allora chiedemmo una lunga aspettativa dal lavoro, la possibilità di tornare come volontari internazionali, rimanendo accanto ai bambini delle case famiglie, le donne, viaggiando nei momenti in cui eravamo liberi dal lavoro associativo (fotografie, traduzioni, video, visite a chi chiedeva aiuto per scuola, salute, casa, medicine, piccoli corsi di yoga assieme o danza, giochi comuni), attraversando tutto il Kerala, successivamente il Tamil Nadu, sempre spinti dal voler rimanere a stretto contatto con le realtà locali, conoscendo molte persone, cercando nelle varie città luoghi nei quali incontrare la danza nelle sue variegate espressioni classiche o tribal, folk, così come templi, nature, tanta natura, soprattutto quello, il Kerala in questo è impareggiabile.
Come è nata l’idea del libro?
L’idea del libro nasce durante i giorni successivi al licenziamento: quei lunghi mesi metabolizzavano dentro di me e mi riusciva difficile comunicare stati d’animo complessi, in realtà anche le persone a noi vicine poco s’informavano di ciò. Se prima di partire amici e parenti ci martellavano di domande (alcuni credendoci pazzi), al ritorno quasi tutto davano per scontato che una volta ritornati, questo giochino da quarantenni, quasi un capriccio prima della ripresa delle ‘normalità’ convenzionali, terminasse. Invece tutto sedimentava, di notte.
Trascorrevo lunghe ore sveglio al buio inseguendo i ricordi, le persone che ci avevano accolto, le loro storie tristi e felici, le sensazioni, i profumi, le ore trascorse nelle foreste alla ricerca di un uccello (il cuculo reale fu un vero ed ostico amico/nemico nel farsi fotografare fino al giorno in cui scorsi un paio di maschi completamente alla mercé dei loro ormoni durante la stagione degli accoppiamenti, in due giorni ho fotografato più esemplari che in sette mesi).
Poi la barriera emotiva di un’Italia ‘zombiezzata’: durante il giorno avevo davvero difficoltà nel comunicare, nel trovare persone con le quali condividere i miei stati d’animo; nelle settimane successive al rientro io e mia moglie constatavamo che nella freddezza della gente di Bologna non sorridevamo più, cosa che in Kerala era all’ordine del giorno, il sorriso era la prima forma di comunicazione con tante persone, seguito da un profondo inchino ed un ‘hai namaskar!’ con la mano sul cuore.
Insomma qui la gente si perde nei social network, vive in un mondo pre confezionato e poco umano, relaziona con migliaia di persone tra ‘like’ ed emoticons, ma non saluta il vicino di casa, non frequenta le persone in carne ed ossa, anche in strada, ovunque. Ognuno è chiuso in un mondo che è sempre più distopico e irreale.
In quei giorni la mia catarsi è stata la scrittura: “Le fate del Travancore” è nato in una settimana, poi il secondo volume della trilogia, in questi giorni oggetto di editing tra me e gli editori, un romanzo lungo che ora rimane in attesa che lo ricami e aggiusti (scrivo a fiume quando sono sul laptop, seduto in salotto con musica di un canale sacro malayalam in diffusione …). Mi sono ritrovato in ciò che scrivevo, accanto ai personaggi (a volte, ma solo a volte) inventati nei racconti, c’era sempre un me ‘fantasma’ che si muoveva accanto a loro.
I miei libri sono un omaggio a quella gente: spero che troviate un Kerala meno turistico e se andrete laggiù, tra palme e villaggi, siate meno turisti occidentali e più persone e scopriate quanto quel popolo ha da dare in termini umani e culturali. A tutti i livelli, dal dirigente scolastico o bancario di casta Nair all’intrecciatore di bambù Dalit, dalla donna che cammina scalza nelle acque basse di un fiume alle raccoglitrici di tè, chiunque può darvi qualcosa, siate umili e vivete l’esperienza con naturalezza un po’ bambina.
Come racconti l’India nel tuo libro?
Se vi aspettate grandi risposte a carenze spirituali ed esistenziali non le troverete: lascio le citazioni di Osho o di altri swami per occidentali alle pagine di Facebook. Io racconto il Kerala, che è India a tutti gli effetti sebbene non quella degli stereotipi, di tutti i giorni, storie narrate sul filo del fiabesco a tratti.
Nelle “Fate del Travancore”, la prima delle tre storie narra di una donna vedova che ha perso tutto, davvero tutto, il marito, il figlio deceduto in un incidente con un bufalo durante il lavoro nei campi, la casa crollata sotto una palma piegata da una tempesta monsonica (storia in parte vera, ho davvero conosciuto una bellissima signora anziana che ha subito parte di ciò nella sua vita eppure ha sempre avuto la forza di non cedere e di sorridermi, che lezione di vita …). La storia nasce da un incontro, all’interno di una piantagione, tra questa donna sola e vedova, senza famiglia, senza casa, con un topolino uscito da un buco che la osserva, che si lascia avvicinare, al punto che la stessa donna sospetterà possa trattarsi di una manifestazione di Akhu, il topolino cavalcato dal dio Ganesha (in malayalam comunemente chiamato Ganapathi). Con lui parla, a lui canta …
In questo contesto mi perdo nella descrizione dei profumi, dei suoni, dei colori, della natura attorno a loro, lo immagino come un quadro espressionista ai tropici; è la natura che incontravo, che cercavo, che mi entrava dentro ogni giorno, che lasciavo mi scivolasse dentro. Poi succederà qualcosa di bello, tutte le mie storie finiscono con ‘happy end’, lascio alla stampa occidentale il compito di raccontare l’India vista solamente in frangenti di donne che subiscono violenza, realtà verosimile ma non totale. C’è un’altra India femminile, meravigliosa, che lotta e produce cultura e movimenti, da Vandana Shiva a Arundhati Roy (keralita), così come il movimento dei saree rosa in Uttar Pradesh contro la violenza sulle donne, così come la cinematografia di Deepa Metha. Così altre…Insomma voglio che si affermi un’altra idea di India, meno maschile e più legata all’energia creatrice e femminile.
Dove possiamo trovare Le fate del Travancore ?
“Le fate del Travancore” è un libro ufficiale, per quanto legato alla piccola editoria e ciò mi affascina. I due editori che mi hanno da subito dato fiducia e non mi hanno chiesto un euro per la pubblicazione, a differenza di altri. A loro sono legato e li ringrazio pubblicamente. Edizioni dell’Eremo ha curato il libro in formato cartaceo, lo trovate in qualsiasi libreria a 10€ e lo potete ordinare se non presente, la distribuzione è nazionale.
L’ebook lo trovate a 2,99€ su Amazon.
La terza soluzione è ordinarlo a me personalmente, scrivendomi a tenny2004@libero.it; ho qualche copia in casa, in questo caso mi piace dedicarvi un piccolo mantra autografato, più che altro come augurio e testimonianza. Namaste!