
Il turismo caritatevole e la (mala)cooperazione
Viaggiando ti sarà sicuramente capitato di essere infastidito da commercianti insistenti, di rischiare una crisi di nervi dopo 30 minuti di contrattazione, di essere accerchiato da bambini che ti chiedono caramelle e soldi.
Per la popolazione locale spesso non esistono distinzioni tra turista con soldi e backpacker al verde che viaggia per mesi, siamo tutti turisti bianchi e abbiamo i soldi.
Non è piacevole camminare e sapere che tutti ti osservano come un portafoglio con le gambe. A me è successo soprattutto in Africa.
Il modo con cui vengono chiesti i soldi agli stranieri in alcune località è assolutamente assillante, talvolta provoca l’effetto contrario allontanando il potenziale acquirente.
Questo atteggiamento invadente può infastidire, ma chiediamoci quali possono essere le cause.
Questa situazione è anche nostra responsabilità, dell’assistenzialismo della cooperazione internazionale vecchio stile e dell’approccio del turista che va ad “aiutare la gente povera” (whitesavior).
Nonostante le buone intenzioni, questo modo di comportarsi con persone che vivono diversamente da noi, mette al centro noi stessi, non gli altri, provocando molti danni a livello culturale ed economico.
Si chiama White Savior, la Sindrome del Salvatore Bianco, a cui dedicherò un post ad hoc, in questo articolo voglio parlare invece di quello che chiamo “Turismo caritatevole”.
Ricordiamo ci che l’industria mondiale del turismo può divorare il Pianeta, o migliorarlo. Questo dipende dal tipo di turismo.
I 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030 riguardano l’ambiente e la società. Il turismo può influire notevolmente su questi obiettivi.
In questo post parlo dell’interazione tra i popoli (il punto 10 dell’Agenda 2030: ridurre le diseguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri) nel quotidiano, durante i nostri viaggi. Si tratta di consapevolezza e atteggiamenti, molto semplici, ma che nel lungo termine fanno la differenza.
(MALA)COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
“Se un uomo ha fame non regalargli un pesce, ma insegnagli a pescare”.
Questo proverbio spiega chiaramente ciò che intendo quando mi riferisco al vecchio modello di cooperazione internazionale.
Non si insegnava a pescare, si regalavano troppi pesci.
Così le persone le aiuti nell’immediato, ma nel lungo termine si crea dipendenza, privando il popolo della sua intraprendenza.
La conseguenza di aver regalato troppi pesci è che si è creata una dipendenza, lo sviluppo si blocca: spesso di fronte ad un problema la reazione è “Non facciamo nulla, aspettiamo, arriverà una ONG e risolverà tutto”.
I bianchi sono visti come Babbo Natale e la tendenza è quella di “rimanere bambini” in attesa di un regalo.
Sul tema della cooperazione internazionale vecchio stampo, consiglio il film “Come sono buoni i bianchi” di Marco Ferreri.
TURISMO CARITATEVOLE
I bambini chiedono soldi e caramelle e i turisti continuano a dare loro questi contentini con la seria convinzione di fare del bene.
Il turismo sostenibile insegna il contrario.
Donare pubblicamente aumenta il gap culturale, alimentando l’idea del felice turista ricco e del disagiato indigeno povero, del civilizzato e del selvaggio, del progredito e del primitivo, dell’occidentale e non occidentale e via dicendo.
Chi dona con consapevolezza non ha bisogno di rendere pubblico il suo gesto.
Le donazioni dovrebbero essere fatte umilmente in modo riservato, al capo villaggio, al referente di un progetto, al preside di una scuola, mai direttamente a famiglie e bambini.
Le conseguenze delle donazioni pubbliche sono state ampiamente studiate dai sociologi del turismo: i bambini crescono credendo che la loro cultura sia sbagliata e che la nostra sia quella giusta, quella da emulare.
WHITE SAVIOR
La visione del turista o del volontario è, generalmente, questa: “io sono benestante, tu sei povero, quindi io ti aiuto” (White Savior, Sindrome del Salvatore Bianco).
Questa visione dovrebbe trasformarsi in “viviamo in due culture differenti, condividiamo e collaboriamo assieme per imparare l’uno dall’altro”.
Quest’ultimo approccio esclude la presunzione che solo noi bianchi abbiamo qualcosa da dare.
Per modificare questa visione va messo in discussione il concetto di povertà: attualmente è considerato povero chi non ha la tv o la lavatrice.
Questa vignetta ci mostra le cose da un altro punto di vista:

E’ difficile capire qual è il comportamento adeguato quando si viaggia in un paese diverso dal nostro.
DONARE AI BAMBINI DURANTE I VIAGGI? Sì, MA SENZA FARSI VEDERE
Oggi alcuni tour leader invitano i turisti a portare quaderni e matite quando è prevista la visita ad un villaggio.
Cosa buona, se fatta con discrezione evitando la distribuzione diretta ai bambini.
Spesso sono invece le stesse guide ad incentivare la distribuzione pubblica, le cause sono principalmente due:
- Non sono a conoscenza delle conseguenze sociali del gesto
- Sanno che così accontenteranno il bisogno dei turisti di “fare del bene”(ricordiamoci che su questo “bisogno” nascono attività lucrative come i finti orfanotrofi in Cambogia)
Il turista consapevole non dona per appagamento personale, non ha bisogno di mostrare il suo gesto pubblicamente.
Attenzione –> l’appagamento personale nel donare e fare del bene è una sensazione umana e normale, ma una volta presa la consapevolezza che non è “per gli altri”, ma “per te”, è saggio cambiare il tuo modo di donare, pensando alle conseguenze nel lungo termine, per gli altri.
Fortunatamente negli ultimi tempi anche il turismo classico sta cambiando ed è più attento ai comportamenti da adottare in viaggio, ma il processo è lento.
Donare caramelle ai bambini è invece un’abitudine da evitare in tutti i casi.
Il risultato è l’incremento della mendicità dei giovani e il peggioramento dello stato di salute degli stessi.
Altra pratica diffusa è quella di comprare oggetti dai bambini; anche qui il turista pensa di fare del bene, ma in realtà non fa altro che incentivare il lavoro minorile.
Il viaggio è uno scambio di sensazioni, curiosità e rispetto, non solo beni materiali.
Un sorriso, 5 minuti del tuo tempo, una passeggiata, un disegno sulla sabbia, qualche parola della lingua locale… valgono molto più di una caramella.
Comments:
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Elena
D’accordissimo! non cambio una parola!