
Il mio modo di viaggiare
Dal diario di viaggio 2009, Senegal:
Abituata a vivere in un agriturismo, dove la genuina accoglienza è al primo posto tra i valori di casa, non posso resistere un giorno di più a Dakar. Prendere un taxi o comprare una banana è una ogni volta una battaglia. Non mi riferisco al mercanteggiare e alla contrattazione, una vera e propria arte che considero interessante e socialmente utile per creare relazioni, mi riferisco all’atteggiamento arrogante dei venditori e al fatto che chiunque si approccia a me con un sorriso, in realtà ha un secondo fine: vendermi qualcosa o chiedermi in matrimonio. Su questo tema se vuoi leggi il mio articolo Il turismo caritatevole e la (mala) cooperazione”.
Le grandi città mi fanno sempre questo effetto: non sopporto l’inquinamento da gas di scarico e l’ostentazione della ricchezza, sono confusa dal caos e disorientata dalla grandezza. E’ un mio limite. Più di ogni altra cosa, credo che nelle grandi metropoli sia più difficile instaurare relazioni autentiche. Per questo quando viaggio dedico solo qualche giorno alle città, per visitarne i musei e i mercati, osservarne il tessuto sociale e conoscere altri viaggiatori. Dopo una settimana raggiungo il mio limite di sopportazione e mi sposto in zone rurali più vicine al mio stile di vita e, dal mio punto di vista, più ricche di umanità nella loro semplicità. Prendo parte a progetti di volontariato o semplicemente chiedo ospitalità. Spesso, per ricambiare, propongo di cucinare e comprare il riso per tutta la famiglia, ma non offro mai soldi. Il cibo è un elemento di identità culturale ed è un ottimo punto d’incontro.
Chiara, l’antropologa padovana con cui vivo negli ultimi giorni qui a Dakar, al contrario, adora la vita urbana: sono ormai 9 anni che visita il Senegal, ma non ha mai visto la savana, i villaggi, la Casamance. Chiara ha sempre vissuto in città e ama lo studio della vita sociale e dell’interazione umana nelle aree metropolitane. Per me è l’opposto, ho vissuto la maggior parte della mia vita a contatto con la natura e di conseguenza quando viaggio mi sento più a mio agio in contesti rurali. La diversità tra me e Chiara è una ricchezza. La diversità è di per sé ricchezza, è il patrimonio del mondo, anche se gli schemi sociali tendono ad un’omologazione di massa.

Durante le nostre chiacchierate sorseggiando caffé Touba, Chiara mi ha fatto notare che ho lo spirito dell’antropologa e devo ammettere che mi ha fatto piacere. Io non sono antropologa, ma non ci sono dubbi sul fatto che il mio approccio in viaggio sia antropologico: informarsi, leggere, osservare, imparare la lingua locale, stabilirsi a lungo nello stesso luogo, collaborare, condividere la vita quotidiana, tessere relazioni, chiedere, conoscere, capire, scrivere, ed infine, la scelta di viaggiare da sola. Vedo il viaggio come un modo di acquisire conoscenze, è un percorso di crescita personale. Non sto scrivendo una tesi, non ho neanche mai finito l’università. Lo faccio per me.
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Christian
Ciao Valentina, complimenti davvero per quello che scrivi su questo blog, l'ho scoperto questa mattina e ho letto i post sul tuo modo di viaggiare, sul turismo caritatevole e l'articolo di Somoza sull'etnoturismo, e ho dato un'occhiata ai viaggi che mi riprometto di leggere. Brava. E poi mi fa anche piacere che queste cose le scriva una modenese come me (mi concedo una punta di campanilismo, anche se detto ad una viaggiatrice può sembrare fuori luogo…). Io ci sono arrivato solo di recente a fare qualcosa che si avvicina un po' ad un "viaggio" e agli argomenti di cui scrivi: solo dopo mi sn reso conto che prima non avevo mai viaggiato veramente; è stata una scoperta, ti rendi conto davvero di imparare, di arricchirti, anche cambiare il punto vista sulle cose… non mi dilungo, so solo che ora voglio viaggiare ancora, il più possibile in un modo che si avvicini almeno un po', per quanto riesco, al modo che hai raccontato tu.
E buon viaggio x dicembre!
Christian