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Post di Simona, che ha voluto raccontare la sua esperienza poco sostenibile, nel visitare i centri per l’avvistamento degli oranghi in Indonesia. Anche la mia esperienza a Bukit Lawang, a Sumatra, non fu per niente sostenibile.

Quindici anni fa ho scoperto l’Asia e me ne sono innamorata, tanto da doverci tornare ogni estate. Ho visto moltissimi paesi e conosciuto parecchie culture diverse (per come si possono conoscere in 3 settimane da backpackers), ma non ho mai pubblicato niente, perché non pensavo di avere nulla di utile da condividere, nonostante io sia un’avida frequentatrice di travel blog. Tuttavia, ieri, dopo uno scambio di battute con Valentina sulla condizione degli oranghi a Bukit Lawang, qualcosa è cambiato e mi ritrovo a voler raccontare la mia esperienza al Tanjiung Puting National Park in Kalimantan, nel Borneo Indonesiano. Ho scelto questo paese solo per rivedere gli oranghi (il mio primo incontro era stato a Sumatra, nel 2013) e dopo aver letto che il Parco Nazionale di Tanjung Puting era facilmente accessibile e che al suo interno c’era Camp Leakey – il primo centro di riabilitazione per gli oranghi indonesiani, fondato nel 1971 – non ho rinunciato al costoso tour organizzato di tre giorni con battello privato.

TANJIUNG PUTING

Non amo molto il “tour organizzato”, ma devo ammettere che le notti sul fiume, con i suoni della foresta che ti circonda, sono indimenticabili, tuttavia, questo è l’unico luogo davvero turistico di tutto il Kalimantan, quindi preparatevi a non essere il solo klotok – imbarcazione tradizionale usata per la navigazione nelle acque dell’Indonesia – che varca le tranquille acque del fiume, davanti ai tre centri di nutrizione in cui vi fermerete.

Gli orari dei pasti agli oranghi sono fissi, pertanto, in certe ore della giornata, il fiume diventa molto affollato e l’arrivo alle feeding platforms ricorda le gite scolastiche, con tanta gente emozionata e schiamazzante in coda alle casse. Gli oranghi si vedono esclusivamente qui e non mi risulta ci siano trekking o escursioni di turismo sostenibile, quindi sarà difficile trovare un’alternativa.

Una volta arrivati alle piattaforme, non sempre i simpatici animali arrivano velocemente ed è di questi minuti che voglio parlare, perché, tra un avvistamento e l’altro, osservavo i comportamenti di chi mi stava attorno (un centinaio di persone con tanti bambini scatenati).

Le guide erano sempre tutte insieme, un po’ distanti da noi. Loro, essendo abituati, non erano interessati a vederli, anzi, si chiedevano perché noi fossimo lì. Il loro gruppetto era sicuramente il peggiore, tra urla inutili – noti come versi per chiamare gli oranghi – e tante sigarette che, ovviamente, gettavano a terra, nonostante i cestini. All’interno del parco ci sono molti cartelli che indicano cosa non si deve fare per non infastidire e per non mettere a repentaglio la salute degli oranghi e questi comportamenti sono tutti indicati, ma le guide sono le prime a non rispettarli.

oranghi-kalimantanI turisti stavano zitti, in attesa dell’apparizione, ma appena arrivava un orango i flash non si contavano (le fotografie con flash sono tra le cose da non fare) e, tra gridolini emozionati, era un susseguirsi di mani tese verso le mamme orango, con pargolo al seguito che, incuriosite, cercavano un contatto con gli umani (altra cosa assolutamente da NON fare: un orango può morire per un raffreddore e il contatto con gli umani comporta un grave rischio per la sua salute). In questo parco, purtroppo, questi comportamenti scorretti non sono ripresi nemmeno dai rangers.

L’ultimo luogo che ho visitato è Camp Leakey, un centro attivo per la riabilitazione degli oranghi e non pensato per i turisti: vedrete molti esemplari vagare “in totale libertà” sulle passerelle in legno che conducono alle feeding platforms. Se, come è capitato a me, ne trovate uno che voglia fare amicizia (sembra che io li attiri come il miele per le api), cercate di allontanarvi. So che l’istinto vi dirà di avvicinarvi, ma per la loro sicurezza (ed un po’ anche per la vostra) è meglio non avere contatti.

Per concludere, avendo visto sia Bukit Lawang che Tanjiung Puting, sto iniziando a pensare che questi luoghi, nati con cause nobilissime, si siano trasformati in “esperienze” per turisti a discapito degli oranghi.

Non sconsiglio questo tour di tre giorni (in alternativa, si possono visitare le piattaforme in giornata), perché navigare sulle placide e scure acque del fiume, immersi nella giungla e vedere gli oranghi è meraviglioso, ma abbiate rispetto per un animale a rischio di estinzione, dando il buon esempio anche le guide, che forse impareranno a rispettarlo maggiormente.

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