Diversi dall’inizio alla fine
“Non sembrate per nulla tristi, per me è incredibile”. Pappu mi scruta, gli occhi nero pece piantati addosso, vispi e benevoli. “Perché mai dovremmo esserlo?“. “Insomma, sì, noi in Europa piangiamo disperati, al funerale di un nostro caro”. “Mia sorella è morta ieri. Oggi, dopo aver sparso le sue ceneri nel fiume, inizieremo i festeggiamenti, siamo in quaranta tra famigliari e amici. Dureranno una settimana. Avrei voluto comprare più unguenti profumati e legno pregiato, ma questa cerimonia è davvero molto costosa per noi. Perché dovremmo piangere? Siamo dispiaciuti, certo, ma sappiamo che per lei è l’inizio di una nuova esistenza“.

Varanasi – India
Varanasi, città sacra dell’induismo, India del Nord. Un viaggiatore europeo si aggira nei ghats, le scalinate di pietra che si eclissano nel Gange, fino ad imbattersi nelle pire funerarie che si susseguono in un lungo tratto di riva. E scopre, riscopre, che ogni luogo, ogni popolo, ogni cultura affronta in modo drammaticamente differente gli accadimenti della vita. Davanti alla normalità della morte, a reazioni così diverse, ci si interroga. Pappu, all’apparenza quarantenne, moglie e due figli adolescenti al seguito, pochi minuti prima si era avvicinato per chiedere come un occidentale giudicasse il funerale hindu. Nel farlo, con la curiosità tollerante e la guizzante ironia indiana, ben presto aveva instaurato un clima bonario, complice. Conversando amabilmente, aveva condiviso frutta fresca e lassi, una squisita bevanda allo yogurt. Come giudicare? Non giudicare mai è la prima regola anche davanti ad abitudini, credenze, tradizioni che possono apparire ai nostri occhi stravaganti, inusuali, persino barbare talvolta. Ricordarsi sempre che siamo frutto di una cultura occidentale che, per quanto antica e articolata, non è “la verità” né l’unica via. Relativizzare, capire, apprezzare le diversità. Ogni luogo del mondo, ogni viaggio insegna questo. Invita ad aprire la mente, accogliere l’altro, qualsiasi siano le sue idee. Ascoltare per capire, per capirsi, anche a costo di mettere in discussione le proprie convinzioni, talvolta così occultamente radicate da non essere mai state analizzate a fondo. E non porsi con la presunzione folle della “superiorità”, magari basata su un maggiore benessere materiale.
Qui la morte si accetta, non si cancella. “Perché voi siete disperati?“, incalza Pappu. “Non c’è il Paradiso nella vostra religione, dopo la vita terrena?“. Non riesco ad essere convincente, nella risposta. Poi hai un bel da raccontare che sì, mi fa un po’ effetto quel sinistro odore di grigliata, che è carne che brucia. Quell’acre fumo denso e quel viavai di barelle precarie che trasportano incessantemente nuovi corpi. Che non è usuale per me scendere da una barca e scavalcare cadaveri purificati dalle acque del Gange e posti a riva ad asciugare. Che anche da noi, alla fine, la cremazione sta prendendo piede, ma le modalità esecutive sono più asettiche. Meno rituali. “Ah ah ah – se la ride Pappu – e cosa pensi allora delle torri del silenzio? Se arriverai fino a Bombay ne vedrai una“. Chiedo lumi. Trattasi di torri cerimoniali, sopra le quali i Parsi, seguaci della religione di Zarathustra, lasciano tuttora i propri defunti all’aria aperta, affinché siano smembrati e divorati dagli uccelli rapaci. Il mio sguardo si volge nella direzione delle pire già fumanti, quasi incredulo. Anche la morte testimonia quanto siamo diversi e quanto è affascinante viaggiare e scoprire altre culture, per confrontarsi, per rispettarsi.
Marco Fiori
Non so se sia più giusta, però è sicuramente intessante e dovrebbe farci riflettere, a me ha molto affascinato. Poi le verità assolute forse, semplicemente, non esistono.